Dove l’eco del tempo prende il posto delle parole (22/04/2023)
— 21 aprile ore 17:30 —
Dopo alcuni giorni di confusione nell’organizzazione tra chi rinuncia, chi si aggiunge, chi non si sa che farà, numeri che variano continuamente e telefonate alla Pollaccia, io Ilaria e Daniele (aka Riba) finalmente partiamo da L’Aquila alla volta del Corchia. L’eccitazione e l’entusiasmo, per quanto mi riguarda, sono alle stelle. Mi sento come una bambina alla quale viene promesso di andare al parco divertimenti e la promessa viene effettivamente mantenuta! Dopo anni di assenza e di lontananza, finalmente ritorno alla Montagna Vuota, dove la vita sotterranea di quasi ogni speleo toscano inizia.
Il viaggio in autostrada prosegue, chilometri da macinare con già l’idea di infilarsi nel sacco a pelo alla Pollaccia e attendere la sveglia delle 7 dell’indomani.
— 22 aprile ore 8:00 —
Il nostro cicerone Davide (GSAL) si presenta alla Pollaccia, ultime cose da prendere, un caffè, due parole con Salvatore e via, direzione Antro per lasciare una macchina per poi proseguire con l’altra fino a Fociomboli. Il rincoglionimento delle poche ore di sonno, complice il freddo della notte sentito nella veranda, svanisce man mano che ci avviciniamo all’ingresso del Becco. Dopotutto, camminando per 40 minuti con i sacchi, la tuta e l’imbrago, o ti svegli o è meglio che torni a dormire!
Siamo un bel numeretto, direi ottimo, preciso, direi al minimo! Dei circa dieci che dovevamo essere, siamo solo in quattro. Ilaria e Daniele non ci mettono molto a prendere confidenza con Davide: un po’ l’essere livornese di Davide, un po’ Ilaria che parla anche con le mosche e un po’ Daniele che nel dubbio sta sempre preciso, direi che sono tutti ingredienti per un ottimo minestrone di compagnia.
Alle 11 entriamo dal Becco. Davide per stare comodo con i tempi comunica al GSAL che l’uscita è prevista massimo per le 12 dell’indomani. Qualcuno invece ci aspettava per l’ora di cena alla Pollaccia (e questo sarà argomento di discussione per chi a cena c’era davvero). Noi invece, si stava bene lì dove s’era.
Appena entriamo vengo rapita dalla bellezza del calcare e della dolomia, dalla perfezione delle forme.
Chissà che magari anche i miei compagni possano sentire quell’irregolarità nel battito cardiaco provocato da un’emozione. Questo visibilio di sensazioni viene interrotto dalla corda del primo pozzo che si attorciglia al sacco che si attorciglia alla corda e così via dicendo finché l’unica possibilità è quella di fermarmi e raccapezzarmi in quell’intrigo.
Aspettiamo Ilaria alla base del pozzo e diamo ufficialmente inizio a questo nostro viaggio all’interno del Corchia. Da qui in poi siamo nelle mani, e nella memoria, di Davide, l’unico a conoscere la strada. Gli ambienti che si susseguono provocano una escalation di eccitazione e meraviglia. L’attenzione viene attratta anche dal più piccolo sasso e dalla più piccola pozza d’acqua (direi anche a causa di una certa deformazione professionale ben radicata in me e Ilaria), fino al punto che ogni tanto mi trovo ad alzare lo sguardo ed esclamare un semplice, innocente e bambinesco “Wow!”.
Inizia a farsi chiara la morfologia di questo enorme complesso: lunghe, immense, affascinanti gallerie freatiche sub-orizzontali intersecate qua e là da pozzi che mettono in connessione i vari livelli. Incredibile quanto l’acqua sia stata meticolosa nel creare questi percorsi, io proprio non mi capacito di tale perfezione.
Cammina, sali, scendi, cammina, scivola di sedere: arriviamo al Meinz. Spettacolare.
E via, un livello inferiore della grotta. Al Pozzo dei Titani, circa alle 14:15, per non sapere né leggere né scrivere, su consiglio di Salvatore, Davide doppia la corda fissa con una delle nostre. In realtà la fissa che è lì sta benone. Entra nel pozzo-esci dal pozzo: giusto il tempo di rendersi conto della maestosità dell’ambiente che il pendolo finisce e ci ritroviamo in una saletta dove approfittiamo di una brevissima pausa per bere e mangiare una cosetta. “Ila ce l’hai la maglia?” “Sìsì ho le mandorle”: ormai sono abituata a questo genere di conversazioni con lei.
Ah, nota doverosa: abbiamo lasciato alle nostre spalle, sopra la nostra testa e sotto i nostri piedi il Fighiera. Siamo ufficialmente in Corchia! È un po’ come attraversare un portale all’interno di un mondo magico. Un portale ambito e ricercato, nascosto da rocce e vie labirintiche. Chissà la magia del momento quando è stato varcato per la prima volta.
Riprendiamo il cammino e ci troviamo in una galleria che dà molto l’idea di essere un’abetaia in fase di formazione. Incredibili concrezioni si susseguono, accompagnandoci per diversi metri, come piccoli alberelli al lato del sentiero. Le direzioni di crescita lasciano supporre la principale direzione del flusso d’aria, ma non manca l’eccezione che qualche concrezione sia andata in direzione ostinata e contraria. Complice di queste forme stalattiti-abete anche l’attività microbica, spiega Ilaria.
Arriviamo al pozzo Nostradamus: nonostante la mia ansietta nel trovarmi in ambienti così grandi mentre sono attaccata alla corda, qui non posso fare a meno di guardarmi intorno e riempirmi gli occhi di tale bellezza. Riesco anche ad apprezzare le piccole luci di Ilaria e Davide e noto con piacere che l’irregolarità del mio battito cardiaco è dovuto alla felicità e non all’ansia!
Intorno alle 17 siamo alla tendina rossa: un bel pasto caldo non ce lo toglie nessuno. Mentre Davide è impegnato nella preparazione dei suoi vermicelli indiani speziati, Daniele è occupato a bruciare la crema di zucca, funghi e patate che ho custodito nel sacco con tanto amore. Ilaria pensa alla documentazione fotografica del momento mentre io semplicemente non faccio niente. Nonostante il retrogusto cancerogeno della crema, siamo bel felici di mettere qualcosa di caldo nello stomaco. Stare dentro a questa tendina a mangiare è un lusso sfrenato. Come dire: ci si sta gobbi. È da sottolineare infatti come queste ore trascorse insieme siano state per Ilaria e Daniele come un corso accelerato di toscano, più esattamente pisano e livornese. Le conseguenze saranno che Daniele entrerà in loop di “boia de” (è risaputo che parole o azioni ripetitive sono il suo forte). Fantastichiamo un po’, una dose di cazzeggio e ascoltiamo qualche racconto di Davide che in realtà ne ha uno per ogni sala, pozzo e galleria che attraversiamo. Un vero cicerone. Incantati dal cartello “Silente e pensosa la Montagna si ergeva, e nel suo ventre Valinor il vespro teneva”, mettiamo a posto le vettovaglie e ripartiamo. Credo che siano circa le 18 a questo punto.
Dopo un po’ di sali-scendi, un paio di punti un po’ più “stretti”, qualche altra cordella eccoci al Salone Maranesi. Qua l’ambiente per me torna familiare. Ci spiaggiamo letteralmente nella sala, mentre Davide spiega ai due novelli corchiani che cosa incontreremo d’ora in avanti.
Scivoli, Lame e Portello volano che è una meraviglia. Daniele si diletta con il disarmo mentre noi tre cerchiamo bestioline che si aggirano intorno alle briciole dei pasti consumati alla base del Portello. Possiamo dire che la traversata è pressocché conclusa, nonostante manchi la parte più faticosa: le passerelle! Scesi dal saltino Giovanni, considerando l’orario decente, Davide ci propone di percorrere la parte turistica che Riba non ha mai visto.
Anche percorrere la parte turistica ha il suo fascino a quest’ora, considerando che siamo intorno alla mezzanotte. Non so se qualcun altro, in quel sabato 22, era nelle viscere del Corchia, ma in caso contrario l’idea di essere solo nei quattro in quell’intrigo di vene e arterie della Montagna Vuota, ha suscitato la sensazione di trovarmi personaggio di un libro fantasy simile a La Storia Infinita.
Come automi iniziano le infinite scale: sinistro, destro, sinistro, destro. Occhi fissi sugli scarponi del compagno avanti. Quando ci troviamo alla galleria franosa, tiro un sospiro di sollievo. L’Empoli e la Buca delle Lettere si fanno come volando. A mano a mano che ci avviciniamo all’ingresso del Serpente sentiamo arrivare una certa arietta a tratti piacevole a tratti fastidiosa.
Appena metto il naso fuori, vengo inondata dall’odore dell’aria, della terra, del paleo apuano. Come se fossi stata in apnea per 14 ore e spalancassi improvvisamente i polmoni. Le emozioni fanno capolino tutte insieme. Ci vorranno giorni per metabolizzare e ripercorrere i vari momenti trascorsi.
Arriviamo alla macchina. Davide scrive al GSAL “Tutti fuori”. Ore 01.10. Torniamo a Fociomboli a prendere la macchina di Riba e giù alla Pollaccia. Quando entriamo troviamo Lucrezia, Valeria e Michele sui loro materassini. Ilaria non fa in tempo a dire dove avrebbe dormito che già dorme. Riba si mangia due o tre nutelline mentre mi fa presente che non ho offerto neanche un pezzo del mio avanzo di panino. Davide piazza la tenda fuori.
Domani è un altro giorno.
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